giovedì 31 ottobre 2019

Gerusalemme, incrocio di destini e crocevia di fedi e culture. Tra luce e buio, di Bruno Forte


Gerusalemme, incrocio di destini e crocevia di fedi e culture.

Tra luce e buio.

di Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto

Gerusalemme, per chi come me l’ha visitata tantissime volte, appare sempre la stessa, bella e regale: come dice il testo della canzone “Gerusalemme d’oro” (Yerushalayim shel zahav), scritta e musicata da Naomi Shemer, «nel sonno lieve di alberi e pietre, prigioniera del suo sogno, la città sorge solitaria con, nel suo cuore, un muro... Gerusalemme d’oro, di bronzo e di luce... il tuo nome mi brucerebbe le labbra come il bacio di un serafino se mi dimenticassi di te, Gerusalemme tutta d’oro...». 
Eppure, ogni volta che sali a Gerusalemme unica e nuova è l’impressione che suscita la Città santa, con le sue case e gli edifici rivestiti di pietra, col suo cielo terso e purissimo, con la luce dorata che avvolge ogni cosa, riflessa dalle rocce dei monti della Giudea. Costante resta la percezione di trovarsi in un luogo unico al mondo, perché in nessun altro posto dolore e amore, sofferenza e attesa, si mescolano come qui, nella città dei patriarchi e dei profeti, del Calvario e dell’Anàstasis, della croce e della risurrezione, “ombelico del mondo”. 
Lo afferma il detto rabbinico: «Quando Dio creò il mondo, di dieci misure di bellezza, nove le diede a Gerusalemme e una al resto del mondo. Di dieci misure di sapienza, nove le diede a Gerusalemme e una al resto del mondo. Di dieci misure di dolore, nove le diede a Gerusalemme e una al resto del mondo». 
Lo evocano i versi di Paul Celan, il poeta ebreo autore tra l’altro di una raccolta intitolata Ciclo di Gerusalemme: «Sii come Tu sei, sempre / Alzati, Gerusalemme, ora / sollevati / anche chi ruppe il vincolo verso di te, / ora sarà / illuminato / se bocconi di fango ha ingoiato ... / sorgi / illuminalo». 
La luce e il buio coabitano nella Città santa, come il fango e lo splendore che sorge a rischiarare ogni cosa, e il loro incontro è sempre attuale. 
Lo conferma un narratore-poeta, Erri De Luca, nel suo singolare Omaggio a Gerusalemme: «C’e una città del mondo in cui prima di uscire di casa fai testamento, / perché le fermate degli autobus, specialmente quelle affollate, sono bersagli per automobili apposta lanciate addosso. / C’è una città del mondo in cui quando sali su un autobus o entri in un bar, puoi esplodere accanto a un passeggero imbottito di morte. / C’è una città del mondo in cui i coltelli in mano a ragazzi di quartieri di periferia servono a pugnalare cittadini a caso. / Questa è la città dichiarata ombelico del mondo. / Questa città a forma di vulcano, sputa sangue, collera, paura. / Le sue pietre sono bianche, le sue vie rischiose, la mano armata attacca il suo cielo». 
Incrocio di destini, crocevia di lingue, di fedi e di culture, Gerusalemme è però, nonostante tutto, la “città della pace”, dove il conflitto è sempre presente e non di meno lo sono il desiderio e la ricerca della pace, in quanto chiunque può riconoscervi il laboratorio universale dell’umanità nuova, dove tutti siamo nati e dove tutti rinasceremo nella valle di Giòsafat: «Si dirà di Sion: L’uno e l’altro in essa sono nati e lui, l’Altissimo, la mantiene salda. Il Signore registrerà nel libro dei popoli: Là costui è nato. E danzando canteranno: Sono in te tutte le mie sorgenti» (Salmo 87, 5-7). Perciò la città futura non potrà brillare d’altra luce che di quella di Gerusalemme: «E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Apocalisse, 21, 1-2). 
Questa futura città della pace non sarà frutto delle nostre mani: verrà dall’alto, dono da invocare e a cui aprirsi. «L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio» (v. 10). Perciò da Gerusalemme si leva ogni giorno al cielo la preghiera per la pace, appello al cuore divino, ma anche alla coscienza di tutti, nessuno escluso. Quale via indicare per rispondere a quest’appello? 
Frédéric Manns, biblista di fama mondiale, che vive e insegna a Gerusalemme da quasi quarant’anni, afferma: «La riconciliazione sarà possibile solo se ognuno perdonerà le offese ricevute e abbandonerà la pretesa di essere l’unico che ami Gerusalemme. Questo è il prezzo da pagare per la pace. Non si tratta di elaborare nuove ideologie, ma di accogliere Dio che bussa alla porta. Il Dio dell’Alleanza ha sempre chiesto a Israele di rispettare lo straniero che vive nel suo seno. Fin quando non ci sarà pace nelle religioni non ci sarà pace a Gerusalemme».
Tre condizioni risultano da questo programma che un incontro con Gerusalemme ti impone di accogliere: l’umiltà di non voler essere soli a costruire la pace, di aver anzi bisogno assoluto dell’altro, fosse pure avversario o nemico; il perdono da chiedere e offrire da parte di tutti, nessuno escluso, perché tutti siamo colpevoli del conflitto, dovunque esso regni, e tutti responsabili verso la pace, dovunque si voglia tesserne il patto; il compito delle religioni, che lungi dall’essere strumento alienante o fonte di scontro, come troppo spesso sono diventate nell’uso dei potenti di turno, sono chiamate a essere fonte ispiratrice della pace che l’unico Dio, Signore del cielo e della terra, vuole per tutti i suoi figli. 
Il dialogo portato avanti con umiltà, la disponibilità a chiedere e offrire riconciliazione, la preghiera all’Eterno, Re della pace, e il quotidiano impegno a tessere dovunque legami di accoglienza, di rispetto e di fraternità e a vivere il servizio al bene comune, più grande e necessario di ogni interesse egoistico, sono i passi da compiere per essere costruttori di pace. Salutando Gerusalemme dal monte del pianto, il monte dell’addio da cui per l’ultima volta coloro che partono verso Occidente vedono le forme incantate della Città santa, stracciandosi le vesti e piangendo, è questo l’impegno che i pellegrini portano a casa e nel cuore. 
Perché non immaginare allora un universale pellegrinaggio dei popoli, che porti al monte di Sion l’umanità intera e la impegni in quel lembo sacro di terra, segnato dalla spianata del Tempio, dal Calvario e dalle Moschee, a divenire nel quotidiano di ciascuno operatrice di pace? È il sogno dei cantori e dei profeti in quelle composizioni di fede e di poesia che descrivono il pellegrinaggio di tutti popoli, nessuno escluso, alle sorgenti poste dall’Eterno in Sion, come i Salmi delle ascensioni (quindici Salmi, dal 120 al 134, ognuno indicato come Shir hamma’alot, “Cantico delle ascensioni”).
È il solo cammino che potrà dare al mondo un nuovo futuro, l’avvenire della pace promessa e desiderata nella giustizia e nella verità, di cui tutti abbiamo immenso bisogno e per cui tutti dobbiamo pregare, come ci invita a fare un altro, significativo canto dedicato a Gerusalemme, ispirato al Salmo 122 (v. 6: «Chiedete pace per Gerusalemme»): «Shaalu Shalom Yerushalayim, ... Shalom, Shalom... Shaalu Shalom Yerushalayim! Prega per la pace di Gerusalemme... Gerusalemme in pace vivrà!».



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(L’Osservatore Romano, Venerdì 12 Luglio 2019, 4)
http://www.chieti.chiesacattolica.it/pls/chieti/bd_edit_doc_dioc_css.edit_documento?p_id=956894&p_pagina=30&rifi=&rifp=&vis=4


mercoledì 30 ottobre 2019

GERUSALEMME : SIMBOLO E REALTA' , del Card. Carlo Maria Martini




GERUSALEMME : SIMBOLO E REALTA'

Card. Carlo Maria Martini




La Gerusalemme celeste e la Gerusalemme storica

La Gerusalemme celeste (Ap 21, 1-22, 5)
Siamo nella parte finale dell'Apocalisse, dedicata alla descrizione della Gerusalemme celeste, a cui seguirà la conclusione. Il nuovo ordine di cose, instaurato dalla morte e risurrezione di Cristo, è disegnato attraverso due grandi fasce di simboli.
Quelli della creazione e del paradiso di Genesi 1-2, dove si parla di "nuovo cielo", "nuova terra", "ogni cosa nuova". Il profeta Isaia annunciava "una cosa nuova" (43,19), qui viene fatta "ogni cosa nuova", la nuova creazione. Al tema sono connessi i simboli del fiume nel paradiso, dell'acqua che sgorga, dell'albero che dà vita (cfr. Gen 2) e anche quelli della nuova città, descritta da Ezechiele dal capitolo 40 al 48 (risuonano pure passi del Deuteroisaia e di Zaccaria), che è senza tempio, meglio è tutta tempio, tutta dimora di Dio. Dunque, due fasce di simboli: della creazione e della restaurazione di Israele come nuova città.
Vorrei sottolineare tre momenti di questa presentazione: il momento di contrasto, il nuovo ordine di cose e i simboli più specifici della nuova città.

Il momento di contrasto
Il contrasto è evocato fin dall'inizio con le parole: " Allora io vidi" e, in seguito, con le parole: "E vidi poi venire dal cielo". I Non si tratta però di una prima visione, perché fa parte di visioni descritte nei versetti precedenti ("vidi poi venire", "vidi") e che annunciano la scomparsa di tutti gli elementi negativi della storia (cfr. Ap 20), riassunti nella morte e negli inferi. Tale scomparsa, annunciata poco prima, è ripresa nel nostro brano: scompariranno le lacrime, non ci sarà più morte né lutto né lamento ne affanno perché le cose di prima sono passate (21, 4 ); i vili, gli increduli, gli abietti, gli omicidi, gli immorali non entreranno nel nuovo ordine di cose (v. 8).
Viene quindi proclamato quel giudizio di Dio che è l'inizio del nuovo ordine di cose, giudizio formulato in base a due criteri: le opere compiute, registrate nel libro, e l'iniziativa salvifica divina espressa con l'immagine dell'iscrizione nel libro della vita.
Perciò i versetti immediatamente precedenti, richiamati in 21, 4.8 e anche in altri capitoli, presentano quale premessa della visione di Gerusalemme, della nuova città, lo sfondo della distruzione del male operata dalla croce di Cristo, distruzione del male che è frutto positivo della croce. La croce ha messo fuori gioco l'universo spirituale costituito dalla ribellione a Dio, per- mettendo la nascita di un ordine nuovo e di un nuovo universo di valori delineati a partire dall'inizio del capitolo 21.

Il nuovo ordine di cose
Il nuovo ordine di cose lo leggiamo in 21, 1-5, ed è presentato con le parole: "nuovo cielo e nuova terra" ("In principio Dio creò il cielo e la terra", Gen 1, 1). Un nuovo ordine spirituale e morale, nel quale siamo collocati. E la cosa nuova è anche la città santa, la nuova Gerusalemme, simbolo del nuovo ordine di grazia e di misericordia instaurato da Dio. La città discende dal cielo perché il nuovo ordine è puramente gratuito, non è opera di uomini, bensì di Dio che lo fa e lo dona.
È una città ed è pure una sposa adorna per il suo sposo, pronta per le nozze, bellissima, così come la sposa di cui parlava Ezechiele al capitolo 16, 8ss: vestita di ricami, calzata con pelli di tasso, cinto il capo di bisso, ricoperta di seta, adorna di gioielli. Così va immaginata questa sposa che nell' Apocalisse è veramente e pienamente fedele.
E lo sposalizio, che fa parte dell'ordine nuovo, è l'alleanza richiamata al v. 3, dove è evocato Lv 26, 11 ("stabilirò la mia dimora in mezzo a voi"), insieme ad altri brani dell'Antico Testamento sull'alleanza, per dare questa visione complessiva: Dio dimorerà tra di loro, essi saranno il suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro.
Di fronte a tale visione, noi ci domandiamo: riguarda il presente o il futuro? Queste parole sono compiute?
Al v. 6 è scritto: "Ecco, sono compiute!". Tuttavia si potrebbe pensare a un'anticipazione profetica, a un passato che riguarda il futuro.
In realtà, per il principio ermeneutico, io leggo qui molto più volentieri la descrizione di ciò che è compiuto nella morte e risurrezione di Gesù. Non quindi un ordine nuovo di cose che verrà, ma un ordine che è e che viene e nel quale tutti siamo già dentro.
Siamo già nell'alleanza, siamo già la nuova città che scende dal cielo, siamo già la sposa pronta per lo sposo, pur se non ancora in pienezza; fin da ora, nella passione e risurrezione di Cristo, tutto è compiuto e si compie in coloro che sono in lui.

Alcuni simboli della città celeste
I simboli di questo nuovo ordine di cose sono espressi soprattutto nella cosiddetta seconda descrizione della Gerusalemme celeste, che inizia al v. 9.
Sembra quasi di essere di fronte a un doppione, perché viene ripresentata la città che scende dal cielo; l'autore finale non se ne preoccupa, anzi, ritiene di dover ripetere le stesse cose proprio per farci penetrare nella coscienza che siamo in una realtà nuova instaurata dal mistero pasquale di Cristo.
Al v. 10 la santa città "che scende dal cielo, da Dio" è contemplata dal veggente mentre si trova su un monte grande e alto. Nei versetti successivi, sul simbolo base della città si sviluppano almeno cinque linee simboliche, continuamente riprese.
La prima è quella della luce, della gloria di Dio che irradia sulla città e la rende totalmente trasparente, colma della sua presenza, così da non aver più bisogno di un centro luminoso come il tempio: l'intera città è luce.
Il secondo elemento simbolico è il grande, alto muro, con le sue fondamenta, che dà le dimensioni della città.
Il terzo è quello delle dodici porte, con le loro scritte e i loro ornamenti.
Poi l'elemento del fiume, che attinge al racconto della Genesi.
Infine, gli alberi con i frutti e le foglie: l'albero della vita.
Mi limito a ripercorrere le prime due linee simboliche, nel desiderio di mostrare l'unità dell'insieme, l'unico messaggio che viene ripetutamente presentato.
La città, al v. 10, è dunque risplendente della gloria di Dio e il v. 11 commenta tale splendore, simile a quello di gemma preziosissima, quale pietra di diaspro cristallino.
Il tema della luce è ripreso al v. 18: la città è di oro puro, simile a terso cristallo; per questo (v. 23) non ha bisogno della luce del sole ne della luce della luna, dal momento che la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'agnello.

Al v. 24 la luce diviene il riferimento per tutta l'umanità: "Le nazioni cammineranno alla sua luce".

Il nuovo ordine di cose nel quale siamo, il regno di Cristo che già si instaura, è splendore attraente della gloria del Padre e dell'agnello. È una realtà luminosa in cui vivere è bello perché dà sicurezza, respiro, chiarezza, gioia, e "non vidi alcun tempio in essa" (v. 22), perché il Signore Dio onnipotente e l'agnello so- no il suo tempio. La trasparenza di Dio è tale che Dio è percepibile in ogni luogo, lo si incontra ovunque. La conversione cristiana è propria di chi entra in questo nuovo modo di vedere le cose, di chi accoglie la rivelazione della gloria di Dio e si lascia illuminare dalla sua luce.
Il muro è descritto, al v. 12, come grande e alto. Al v. 14 si dice che "le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello". Mura assai singolari, che danno alla città un'impensabile altezza, misurata con una canna d'oro; la città ha una forma strana, tutta simbolica, la forma di un quadrato dove la lunghezza è uguale all'altezza e alla larghezza. Si tratta di un cubo di oltre cinquecento chilometri di lato, e le mura hanno uno spessore di oltre sei chilometri. Dunque, un'ampiezza smisurata, un'estensione e un'altezza inimmaginabili per una città. E se ne dice poi la ricchezza incalcolabile: le mura sono costruite con diaspro, le fondamenta delle mura adornate di pietre preziose.
Contempliamo così una città capace di accoglienza senza limiti, una città che dà un agio e una sicurezza che non hanno paragone. In essa si è pienamente sicuri e ci si sente molto ricchi nella sfera divina, nell'essere in Cristo, in questa luce di Dio.
Se continuassimo la riflessione sugli altri simboli, ci accorgeremmo che ciascuno aggiunge qualcosa al significato della conversione cristiana e, mentre prelude alla piena manifestazione di Dio nel suo Regno - che è indescrivibile a parole -, ci invita già a chiederci se veramente abbiamo la coscienza di vivere in questa nuova realtà, se abbiamo la coscienza della bellezza, della ricchezza, della sicurezza, della luminosità, dell'apertura, della disponibilità della realtà nella quale siamo essendo in Cristo, essendo con lui nel Padre, nel mistero trinitario.
È interessante rileggere i versetti conclusivi della descrizione dei simboli, dove viene sottolineato l'effetto del nuovo ordine di cose instaurato dalla morte e risurrezione di Gesù: "Le nazioni cammineranno alla sua luce e ire della terra a lei porteranno la loro magnificenza. Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, poiché non vi sarà più notte. Non entrerà in essa nulla di impuro, ne chi commette abominio e falsità; ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello" (vv. 24-27).
La nuova Gerusalemme è il punto di riferimento che dà senso a tutta la storia umana, è il punto di arrivo di tutte le nazioni e di tutti i popoli, è la città ideale aperta e pronta a ricevere tutti, è la città che esclude ogni impurità e ogni falsità, che affratella nazioni e popoli amano amano che vengono immersi in questa pienezza luminosa che è la manifestazione di Dio, del suo amore senza limiti. Le misure della città sono alla dismisura dell'altezza, lunghezza, larghezza della carità di Cristo e superano ogni comprensione.

Il cristiano che legge l'Apocalisse
Per il cristiano che legge l'Apocalisse, ogni pagina dei capitoli 21 e 22 è un modo di dire il suo essere in Cristo, le ricchezze che fin da ora gli sono date quale primizia, anticipo, pregustazione di ciò che sarà definitivo e in parte già lo è. Possiamo chiederci come tale ricchezza tocca l'attuale Gerusalemme storica.

Chi ama questa Gerusalemme e tutte le città storiche che partecipano alle sue sofferenze, comprende la risposta alla domanda, anche se non è facile esprimerla in maniera razionale e logica. Provo comunque a farlo: la Gerusalemme attuale è attratta dalla forza dei simboli al di là di se stessa e quindi ha un suo destino; destino di cui è simbolo, destino da cui è attirata verso la pienezza alla quale richiama continuamente con il suo nome e con la sua storia. In altre parole, c'è una permanente tensione dialettica tra la Gerusalemme storica e la Gerusalemme celeste; l'una richiama l'altra e quella celeste attrae quella della storia e, con essa, attrae tutta la storia umana.

Conclusione
Domandiamoci a che cosa ci stimola la visione che abbiamo cercato di contemplare.
A me pare che stimoli anzitutto a scoprire la pienezza in cui siamo e a esserne grati a Dio: pienezza che è il cammino storico dell'umanità, che si rivela a noi quale cammino positivo, di senso, e non soltanto di pura attesa, ma cammino già di partecipazione alle ricchezze inestimabili, inesauribili di Cristo, come singoli, come gruppo, come città, come società e come umanità.
Se, con la grazia del Signore, con gli occhi della fede, ci sforziamo di scoprire la pienezza in cui siamo, dobbiamo lasciarci trascinare da questa dinamica storica. Dinamica che ci indica dove la storia va e ci aiuta a capire come anticiparla nella fraternità e nella giustizia, sperando e operando affinché, attraverso la vittoria del bene sul male, anzi traendo il bene dal male, la luce della Gerusalemme celeste irradi e dia gioia e sicurezza fin da ora a tante persone che camminano con noi.
Ancora, la visione che abbiamo cercato di contemplare ci stimola a coinvolgere la Gerusalemme storica, e tutte le città che soffrono delle sue sofferenze, in questo cammino che trascina il mondo verso la definitiva pienezza.





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[Tratto da: Lettura ecumenica della Parola, 9-10 settembre 1994, in AA.VV. Gerusalemme patria di tutti, EDB, Bologna 1995]





GERUSALEMME : STORIA , MISTERO E PROFEZIA , del Card. Carlo Maria Martini



GERUSALEMME : STORIA , MISTERO E PROFEZIA

del Card. Carlo Maria Martini




A Gerusalemme salgono le moltitudini del Signore

C'è una domanda preliminare: come si può parlare di Gerusalemme? "Gerusalemme," per citare Chateaubriand nell'Itinerario da Parigi a Gerusalemme, "il cui nome evoca tanti misteri, colpisce l'immaginazione, sembra che tutto debba essere straordinario, in questa straordinaria città"?
Credo che una prima premessa sia questa: non si può parlare di Gerusalemme senza amarla. Amarla di quell'amore con cui l'ha amata Davide, nell'interpretazione moderna di Carlo Coccioli, che gli fa dire:

" Ah! se avevo amato Gerusalemme, se l'avevo amata contemplandola dall'esterno, ne impazzii letteralmente, pazzia d'amore, valutando dall'interno la sua bellezza indescrivibile. Certo non vi era al mondo altrettanto desiderabile città, eco inebriante di una dimensione spirituale dello spazio, dove il cielo si chinava sulla terra e la sposava. Come non invidiare Sion, l'incomparabile?".

Oppure, per esprimersi con la parola di un midrash: "Dieci porzioni di bellezza sono state accordate al mondo dal Creatore, e Gerusalemme ne ha ricevute nove. Dieci porzioni di scienza sono state accordate al mondo dal Creatore, e Gerusalemme ne ha ricevute nove. Dieci porzioni di sofferenza sono state accordate al mondo dal Creatore e Gerusalemme ne ha ricevute nove".
Tra le domande che qualificano l'esistenza storica e problematica di ogni uomo e donna del nostro tempo, insieme ad altre domande drammatiche che riguardano la guerra, l'amore, il perdono, la fame e via dicendo, c'è certamente, anche questa domanda: tu, che dici di Gerusalemme? In che rapporto ti senti con Gerusalemme?

Il "dossier" gerosolimitano è immenso: biblico, rabbinico, filosofico, teologico, letterario. Da David a Dante Alighieri a Hegel ai nostri giorni: è un dossier senza fine.

Vorrei fare una presentazione quasi in stile rapsodico, attraverso una trama di citazioni. Indicare piste, domande, luoghi di ricerca, temi possibili di approfondimento, per rispondere alla domanda fondamentale: tu, che dici di Gerusalemme? Cerchiamo di ordinare la tematica attorno alle tre linee indicate: Gerusalemme, storia, mistero e profezia, anche se, evidentemente. non è possibile una divisione rigida di questi tre momenti.



LA STORIA


Sotto questa tematica intendiamo tutto ciò che costituisce la storia viva della città. Una storia carica di significati, una storia caratteristica, unica al mondo.


I luoghi della presenza

È interessante notare come, anche a livello archeologico, la ricerca si concentri oggi su due poli: l'identificazione delle mura, con la loro complessa storia e le diverse successioni dei recinti politici della città, e il luogo del tempio. Una ricerca condotta secondo moduli spaziali, secondo i recinti della presenza politica, del popolo, cioè le mura, e della presenza religiosa, di Jahvè, cioè il tempio. E già qui siamo di fronte a una di quelle dualità, o bipolarità, che emergono da tanti aspetti della storia di Gerusalemme, e che potrebbero essere visualizzate con un riferimento biblico: "Tu mi vuoi edificare una casa, io edificherò a te un casato" (2Sam 7, 5.11). Alla casa spaziale si contrappone il casato dinastico, temporale. Heschel direbbe: " Al tempio Dio preferisce il tempo" in cui anche l'uomo abita con lui. Questa linea di dualità, in cui il tempo viene poi qualificato moralmente come impegno per la giustizia, è la linea che riappare di frequente nel kerygma (annuncio) profetico con la tensione tra culto e obbedienza. "Obbedire è meglio del sacrificio" (1Sam 15, 22); "Detesto i sacrifici fatti nel tempio; ricercate la giustizia" (Is 1, 11.17; cfr. Mic 6,7-8; Os 6,6; Sal 50): il sacrificio richiesto è quello del cuore, anche se alla fine riappaiono i sacrifici e le mura ricostruite.

Questa dialettica è continuamente presente nella storia della città. n primato temporale, esistenziale, la presenza di Dio con l'uomo e l'uomo che cammina con Dio nella giustizia e nella santità, non elide ma illumina la presenza spaziale, quella per cui la gloria di Dio si manifesta nel tempio e abita dentro le mura della città. Fondamentale si potrebbe ritenere, al proposito, la riflessione fatta da Salomone: "Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ti ho costruita!". Ma poco prima Salomone dice: "Il Signore ha deciso di abitare sulla nube. lo ti ho costruita una casa potente, un luogo per la tua dimora perenne" (1Re 8,27.12-13).

Infinità, trascendenza di Dio, immanenza gerosolimitana di Dio.

I rapporti tra i due aspetti si chiariranno nel Nuovo Testamento, ma senza giungere mai, almeno nello spazio temporale dell'esperienza umana, a elidersi a vicenda. Da una parte Gesù accetta il tempio, nella sua funzione di "casa di preghiera" (Mc 11, 11; 15, 17), dall'altra ne prevede la fine (Mc 13).

Anche Paolo (At 21, 26; 24, 6.12.18; 26, 21), anche la comunità primitiva (At 2,46 e 3, 1) frequentano il tempio; ma è in esso che più tardi Paolo sarà catturato, e da questo momento in poi sembra che negli Atti degli Apostoli il tempio sia ormai perso di vista, decaduto come luogo della presenza, o anche soltanto come luogo della preghiera: è divenuto anzi il luogo nel quale Paolo è stato proditoriamente preso. Giovanni vede nel Cristo incarnato (Gv 1, 14) la nuova tenda della Shekinah (eskenosen), in cui contempliamo la gloria del Dio Emmanuele (Emmanuele, uno dei nomi di Gerusalemme, ora viene dato a Gesù; cfr. Mt 1,23).

La stessa idea del corpo del Cristo come tempio è ripresa in chiave pasquale (Gv 2, 19-22 e anche probabilmente Gv 19, 37, dove il lato destro può fare allusione a Zc 12, 10, all'acqua che sgorga dal lato destro del tempio), è il tempio che Marco (14, 58) definisce "non fatto da mano d'uomo". Qui si può richiamare tutta la polemica sul tempio di At 7. n tema è anche suggerito dalla metafora della porta in Gv 10, 7-9: Gesù è la mediazione per la comunione con Dio, è il santuario in cui questa comunione si attua. Porta e tempio antichi sono ora spezzati, come il velo del tempio (Mc 15, 38) perché il Cristo, nuova via (Gv 14,6), è il centro del culto ed è superiore al tempio stesso (Mt 12,6).

Vi è quindi una nuova Gerusalemme, senza tempio. "Non vidi alcun tempio in essa; perché il Signore Dio, l'Onnipotente e l'Agnello sono il suo tempio" (Ap 21, 22).

A livello storico queste varie dualità si affrontano, questa bipolarità oppositiva o sintetica si esprime in vari modi nella predicazione profetica e anche nel Nuovo Testamento: da una parte la città della pace, città della giustizia e dall'altra Dio fedele, Dio presente; oppure: Dio trascendente, Dio assente e Dio giudice, Dio vendicatore, con tutte le varianti possibili di questa dualità, che segna le drammatiche vicende dei luoghi della presenza del popolo e di Jahvè.



La città contesa


Il destino di Gerusalemme come città contesa, comincia verso l'anno 1000 a.C., quando forse non contava più di duemila abitanti. La sua esistenza come capitale pacifica, pure in mezzo ad avvenimenti travagliati, dura quattrocento anni. Tutto il resto della storia è un susseguirsi di invasioni e di conquiste: egiziani, babilonesi, persiani, tolomei, seleucidi, romani, arabi, cristiani d'occidente, sultani egiziani, turchi, sino agli eventi più recenti.

È pensando a questa storia che André Chouraqui, nel suo libro Vivre pour Jerusalem ha scritto: "È Babel la mostruosa trionfatrice della storia, Babel dalle legioni devastatrici, Babel del saccheggio e delle violazioni, Babel dell'assassinio, Babel di tutte le morti. Babel trionfa in tutte le nostre polluzioni, esulta nei depositi dove si ammassano le armi atomiche, che domani devasteranno la mirabile liturgia della creazione. Ai trionfi di Babel," egli dice, "Gerusalemme è presente incatenata, cieca, ma viva e presente. Durante tutta la sua storia Gerusalemme è la città martire, la grande crocifissa". Tuttavia, pur attraverso queste vicende drammatiche di ogni tempo, Gerusalemme è stata, è, ed è destinata a essere la terra dell'incontro.

Continua Chouraqui: "Gerusalemme è centrale per Israele, centrale per la chiesa universale, per la casa dell'lslam e perché essa si erge all'incrocio in cui l'Asia incontra l'Africa e si volge all'Occidente". Di qui, evidentemente, nasce la speranza che vive ciascuno di noi tutte le volte che va pellegrino a Gerusalemme, la speranza che sia proprio in questa città che possiamo riconoscere in ogni uomo il nostro fratello, così come ci fa intuire il Salmo 87 (vv. 5 e 7).
Scrive Jacquet: "Ogni nazione nella misura in cui riconoscerà la supremazia del Dio d'lsraele riceverà da lui, in virtù di un atto della sua liberalità, il suo brevetto di cittadinanza gerosolimitana. Ai suoi membri è offerta un'iscrizione sul registro dei cittadini della città. Tolta ogni barriera, essi possono d'ora innanzi considerarsi a casa loro con gli israeliti; entro le mura della città. 'Non hospites et advenae, sed cives sanctorum et domestici Dei' (Ef2, 19) beneficiando anch'essi delle risorse spirituali dello jahvismo (Is 12,3)".

Alla stessa idealità di Gerusalemme, città dell'incontro, patria universale, s'ispira un loghion extracanonico di Maometto: "O Gerusalemme, terra eletta da Dio e patria dei suoi servi, è dalle tue mura che il mondo è diventato mondo. O Gerusalemme, la rugiada che cade su di te guarisce ogni male, perché essa discende dai giardini del paradiso".

Ma ecco affacciarsi il tragico dilemma; riemerge la bipolarità storica, il dualismo: città dell'incontro o semplicemente città della coesistenza? Città in cui tante persone e situazioni si passano vicino, ma non si compenetrano?

Anche qui la realtà può avere un testimone. Davide Shahar in una conversazione racconta le sue esperienze di ragazzo nato a Gerusalemme e di uomo vissuto a Gerusalemme. Egli dice , (ed è un'esperienza che tutti abbiamo fatto): "Gerusalemme è un mondo di coesistenza, non di simbiosi. Voi siete là, per esempio, alla porta di Sichem e potete vedere, gli uni accanto agli altri, un rabbino che va a pregare al Muro, una ragazzina in minigonna che viene da un kibbutz, un musulmano sul suo asino e poi un monaco greco. Non c'è, direi, alcuna interpenetrazione. Ciascuno vive nel suo mondo; non c'è niente di comune tra il mondo del rabbino e quello del monaco greco: sono mondi differenti che coesistono, l'uno a fianco dell'altro. Questo ci dà una città di tensioni terribilmente forti. lo personalmente le sento in tutti gli ambiti della vita. Non parlo soltanto della guerra tra noi e i nostri vicini. lo sono un uomo molto pacifico e, tuttavia, sono passato per cinque guerre. Parlo anche della comunità giudaica, nella quale c'è coesistenza ma non interpenetrazione. È una tensione continua. Tensione tra i praticanti e i non praticanti; tensione tra comunità differenti. È una tensione che, vibra sempre in questa città, e che è sempre piena di guerra. Questa città unica e universale".




IL MISTERO


Con le frasi e le domande di Shahar entriamo nel mistero di questa città. Che cosa significano tutte queste realtà storiche che verifichiamo e non possiamo negare, di cui siamo in parte i testimoni, di cui ci rallegriamo quando gli aspetti negativi sono soverchiati da quelli positivi, rattristandoci quando avviene il contrario? Che significa tutto ciò in relazione al mistero di pace, prosperità, gioia, giustizia, fraternità che Gerusalemme annunzia col suo nome?
In altre parole potremmo dirci, partendo da un punto di vista specificamente cristiano: il fatto che gli eventi decisivi della salvezza, morte e risurrezione di Gesù (e, nella visione lucana, anche la pentecoste) si siano compiuti a Gerusalemme, permette qualche conclusione sul significato teologico permanente della città, e sull'impatto che le situazioni dolorose della sua storia possono avere sulla storia del mondo?

Il Nuovo Testamento ha cercato in vari modi di penetrare questo mistero di Gerusalemme. È particolarmente ricca in proposito la visione lucana della salvezza, salvezza annunziata in Gerusalemme a Zaccaria, svelata a Gerusalemme con Gesù al tempio, consumata a Gerusalemme: "Ecco, saliamo a Gerusalemme, là si compiranno le cose dette sul figlio dell'uomo" (Lc 18,31). Irradiato da Gerusalemme (Lc 24, 47), l'evangelo comincia da Gerusalemme (At 1,8) e da Gerusalemme in avanti, verso i confini della terra. Gerusalemme è il nuovo Sinai della nuova Legge dello spirito (At 2) e, almeno per un certo tempo, la predicazione primitiva a Gerusalemme ritorna in periodici confronti (At 15 e, a suo modo, GaI 2). Tuttavia, a partire da un certo punto, si ha l'impressione che, per la chiesa antica, la missione della Gerusalemme storica si insabbi, non emerga e non perseveri se non forse in forme minori, come quella del pellegrinaggio. In fondo c'è anche oggi un costante ritorno a Gerusalemme, ed è interessante notare come l'attrattiva di questa città per il cristiano cresca. Anche il cristiano si sente di dire: "l'anno prossimo a Gerusalemme".

E questo perché? È soltanto una moda, una nostalgia? O c'è qualcosa di più?
A questo riguardo ci si è chiesto, ancora recentemente, che significato teologico può avere la ripresa a Gerusalemme di una comunità di ebrei cristiani, circoncisi, che si dichiara erede del gruppo primitivo di Giacomo; collegata direttamente alle radici sante della nostra fede.
Tutto ciò ci fa riflettere e apre interrogativi cui non è facile dare risposta. E proprio a partire da questa misteriosa permanenza di Gerusalemme, della Gerusalemme storica e teatro degli eventi di salvezza, nasce, continuando la simbologia dell' Antico Testamento, una lussureggiante simbologia gerosolimitana che si potrebbe definire simbologia della Gerusalemme vissuta e della Gerusalemme sognata, già presente nell'Antico Testamento e ripresa nella letteratura rabbinica e in quella cristiana.

Per brevità ci potremmo riferire a Misrahi per dare una semplice indicazione dei simboli evocati: pietra, acqua, luce, montagna, forza, gioia, sposa, elementi che sono variamente ripresi dalla letteratura successiva su Gerusalemme, dando a ciascuno di essi un significato speciale. Pietra non soltanto perché su colline rocciose, per l'architettura di sassi propria di Gerusalemme, ma anche perché "pietra" sono i tre centri della città: la pietra del Muro del Pianto, la pietra della Cupola, la pietra ribaltata del Sepolcro. È di qui che si avanza verso il simbolismo teologico della roccia, pietra del Signore, roccia e rocca. Così Gerusalemme diviene espressione della fede, della stabilità, della solidità. Come scrive un autore ebraico, il premio Nobel Shemuel Agnon, nei suoi Racconti di Gerusalemme: "Gli doleva il cuore a lasciare Gerusalemme, città santa, per uscirne, come per precipitare nella Geenna. Diceva in cuor suo: sono venuto fin qui e già me ne devo andare, mi pare di essere un uccello in volo, vola e la sua ombra lo accompagna". Insieme col simbolismo della solidità, del luogo dove si sta al sicuro, c'è il simbolismo dell'acqua. Ecco il Salmo 56, 4-5:

Fremano, si gonfino le sue acque
tremino i monti per i suoi flutti.
Un fiume e i suoi ruscelli rallegrano la città di Dio
la santa dimora dell'Altissimo.

Si tratta dei yeudim meshiym (giudeo-messianici), ebrei che affermano di aver trovato il messia e credono che sia proprio Jeshuah figlio di Miriam di Nazaret. Credono in lui come messia e Signore (Adon), credono nella sua resurrezione e nel suo Vangelo, ma non professano alcuna appartenenza ecclesiale ne intendono rinunciare all'ebraismo.(1)

E dall'esigente enfasi di questa ricchezza d'acqua (che non c'è in realtà a Gerusalemme) si passa alla simbologia di Jahvè, sorgente d'acqua viva in Gerusalemme. Già Filone sottolineava nel De somniis: "Qual è mai questa città dato che la città santa dove si trova il tempio è costruita lontano dal mare e dai fiumi?". Il senso è evidentemente metaforico. Continua Filone: "In realtà l'onda del Verbo divino, fluendo con continuità, potenza e misura si spande attraverso l'universo e raggiunge ogni cosa".

Ricordiamo anche il tema della luce, fondamentale in Isaia come quello della montagna. Gerusalemme appare non soltanto come pietra ma anche come montagna: "Il suo monte santo, altura stupenda, è la gioia di tutta la terra" (Sal 48, 3). Montagna, cime e insieme fondamento: "le sue fondamenta sono sui monti santi" (Sal 46, 3-4). Fondamento e culmine proprio in relazione col Salmo 18: "Dio, mia roccia, mia rupe, mio riparo". Misrahi, perciò, parla addirittura di Dio come simbolo di Gerusalemme, e dice che "se Gerusalemme ha un tale irraggiamento è perché essa è simbolo di Dio. Se Dio è talmente legato a Israele, è perché egli è il simbolo di Gerusalemme".

Un altro simbolo sfruttato è quello della "porta", "porta della speranza", che, in relazione ai temi precedenti indica una dinamica, un passaggio, una progressione, un entrare e un uscire, anche una fragilità, la fuga e l'esilio e persino la stessa trasgressione.
"Entrare in Gerusalemme," scrive Misrahi, "è entrare nel combattimento per la giustizia, è assumere la responsabilità della lotta."
Questa entrata avrà perciò uno sbocco, un'uscita: "da Gerusalemme uscirà la Legge". Diversi sono gli usi che vengono fatti di queste metafore, a seconda delle situazioni; ma tutti si riferiscono alla potenzialità quasi senza fine di Gerusalemme di rappresentare i diversi aspetti del cammino dell'uomo e dell'esprimersi dell'uomo con Dio.

C'è infine la simbolica della "gioia": "la Gerusalemme, altopiano roccioso, è ove si danza l'allegria dell'essere, il giardino del re, il giardino dell'essere. L'Eden non è a est, ma al centro, e il centro (riferendoci anche al Cantico dei Cantici e ai salmi) è la simbologia della sposa".
La Gerusalemme del mistero, bagnata dalla presenza salvifica di Dio, assume significati che possono essere letti in tutti gli aspetti della vita e possono riferirsi a mille realtà della ricerca che Dio fa dell'uomo e del cammino dell'uomo verso Dio.



LA PROFEZIA

Cosa significa interrogarsi su Gerusalemme come profezia, cosa significa interrogarsi sull'influsso che la salvezza finale, rappresentata con immagini gerosolimitane, ha sul momento presente della salvezza e sul cammino della salvezza? Qui andrebbe evocato tutto quanto è detto nel Nuovo Testamento, nell'Apocalisse in particolare, sulla Gerusalemme nuova, sulla città che viene da Dio, la quintessenza di tutte le attese umane, la città in cui non c'è più né pianto, né lutto, dolore; il luogo della perfetta giustizia e della perfetta liberta, Il luogo nel quale si esprime la libertà dei credenti (GaI 4, 26-31). È interessante indicare, con qualche citazione, come questi temi si prolunghino, sia nella riflessione rabbinica, sia in quella cristiana.

Già la speculazione rabbinica sull'apparente duale Jerusalayim passava a riflettere sulla città duale nello spazio e nel tempo: Gerusalemme celeste, Gerusalemme terrestre; Gerusalemme di adesso, Gerusalemme di poi. E cercava di definire i vari rapporti tra le due Gerusalemme: quella di quaggiù, quella di ora; quella di lassù e quella di poi, con diverse armonie e tensioni tra il prima e il dopo. Il cammino dell'uomo non doveva essere allora una semplice ricerca del tempo perduto o un giro a vuoto su se stesso nel cerchio dell'esistenza, ma un passaggio da un prima a un poi, da un quassù a un lassù che dà significato a ogni momento dell'esistenza storica dell'uomo.
Dal punto di vista cristiano i termini sono, evidentemente, molti. Gerusalemme può essere termine del cammino, punto di arrivo, come scrive il Crisostomo commentando il Salmo 47 (48): "Teniamo nel nostro spirito la città di Gerusalemme: contempliamola senza sosta avendo sempre davanti agli occhi le sue bellezze. È la capitale del Re dei secoli, ove tutto è immutabile, ove nulla passa, ove tutte le bellezze sono incorruttibili. Contempliamola per divenire ogni giorno più affettuosi coi nostri fratelli e così ereditare il regno dei cieli".

Quest'immagine della Gerusalemme terminale, da cui derivano numerose anticipazioni della sua vita nel cammino del popolo di Dio, è espressa variamente dalla teologia medievale.
Abbiamo la tipica triplice distinzione, secondo i tre sensi della scrittura. Sion significa specula o contemplatio, scrive Rabano Mauro, e "designa la chiesa dell'anima credente o la patria celeste. Secondo la storia designa la nazione dei giudei o Gerusalemme, secondo l'allegoria è la santa chiesa, secondo l'analogia è la patria celeste".

Diverso è lo schema duplice che presenta Tommaso d'Aquino nel commento al Salmo 45: "Duplice è la città di Dio, l'una terrena, cioè la Gerusalemme terrestre, l'altra spirituale, cioè la Gerusalemme celeste. Per l' Antico Testamento gli uomini erano fatti cittadini della città terrestre, per il Nuovo Testamento della città celeste". Qui il discorso diventa più complesso e più difficile: già prima di san Tommaso, sant' Agostino aveva tentato di adattare il discorso alla complessità della storia, dove città terrestre e città celeste si scontrano in una sorta di escatologia realizzata. Allora si affermano nomi diversi per le due città: Gerusalemme e Babilonia. E questa presentazione duale è la stessa che troviamo nel libro dell' Apocalisse.

Sant'Agostino, nel De Civitate Dei, parlando dei Salmi delle ascensioni (i salmi dal 120 al 134) vedrà Gerusalemme come il punto terminale dell'intera esistenza dell'uomo: "Voi sapete, fratelli miei, che un cantico delle ascensioni non è che un cantico della nostra ascensione, e che questa ascensione non si fa con i nostri piedi, ma con gli slanci del cuore. Corriamo dunque, fratelli miei, corriamo. Noi andremo alla casa del Signore. Corriamo, non stanchiamoci, perché noi arriveremo là, dove non c'è più stanchezza". E di qua, da questa attrattiva perenne che Gerusalemme esercita sull'uomo come punto di arrivo, come stimolo per il cammino, come chiave per l'interpretazione degli enigmi della storia, delle complessità delle tensioni storiche che agitano gli uomini nasce un'ultima riflessione: Gerusalemme intesa come compito o come sfida.

La domanda posta all'inizio di questa terza riflessione sulla profezia, cioè quale sia l'influsso che ha sul presente della salvezza e sul cammino dell'uomo la salvezza finale rappresentata con immagini gerosolimitane, può anche essere rovesciata. C'è una funzione della Gerusalemme storica rispetto alla Gerusalemme profetica? In che maniera il realismo della Gerusalemme storica e la sua ricchezza molteplice, misteriosa e simbolica, è vissuto nella Gerusalemme profetica che si va costruendo, nel popolo di Dio in cammino? Non potrebbe una maggiore attenzione alla Gerusalemme storica e al suo destino, alle sue ricchezze e alla sua corporeità, assicurare più vigorosamente anche al popolo di Dio una completezza e un'armonia di valori, che ne facciano davvero un corpo di Cristo immerso nella storia? Il richiamo a Gerusalemme non può essere un richiamo a un modo più completo di essere uomo e di essere chiesa?
In questo senso qualcuno ha parlato di ferite iniziali nella primitiva cristianità ancora da risanare, perché il cristianesimo ritrovi nel suo cammino nel tempo, sempre maggiormente, la ricchezza delle sue potenzialità.

E tuttavia la domanda su Gerusalemme come sfida rimane presente e drammatica, anche soltanto riferendoci alla Gerusalemme storica.

Padre Dubois che, come cittadino di Gerusalemme, vive intimamente questa realtà, questa sofferenza e questi desideri, nel suo libro Vigiles à Jerusalem si domanda: "Come situare in rapporto reciproco il valore di segno e il valore di realtà, come accordare la dimensione storica e temporale con la dimensione di eternità? Più precisamente, poi che Gerusalemme esiste e non è soltanto nei cieli, come esserci, dimorarvi, occuparla, possederla; come essere presso di essa a casa propria e contemporaneamente aprirla al mondo, a tutti gli uomini, come patria spirituale e universale?". Riemerge allora la domanda, propria di ogni uomo: "Tu, che pensi di Gerusalemme?".






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1. Cfr. Francesco Rossi de Gasperis, Un nuovo giudeocristianesimo e la sua possibile rilevanza ecclesiale, in Cominciando da Gerusalemme, Piemme, Milano 1997, pp. 140-183.


[Tratto da: Atti della XXVI settimana biblica, Roma, 15-19 settembre 1980, Paideia Brescia 1982]



PREGHIERA PER LA PACE IN TERRA SANTA







PREGHIERA PER LA PACE IN TERRA SANTA



“Benedetti gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9)

- Signore, aiutaci ad essere operatori di pace per la Terra Santa.


“Il Signore della pace vi dia egli stesso la pace sempre e in ogni modo” (II Tes 3,16)

- Signore, dai la pace alla Terra Santa secondo la tua volontà.


“Egli infatti è la nostra pace, Colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia” (Ef 2,14)

- Signore, sii la nostra pace e abbatti il muro di separazione che divide la Terra Santa”.


“Io sono la luce del mondo”. ( Gv 8,12)

- Signore, aiutaci ad essere luci per la Terra Santa.


“Forgeranno le loro spade in vomeri e le loro lance in falci. Un popolo non alzerà più la spada contro un’ altro popolo, non si eserciteranno più nell’arte della guerra”. (Is 2,4)

- Signore, esaudisci ora questa promessa in Terra Santa.


“Esaù corse incontro a Giacobbe, lo abbracciò, gli si gettò al collo, lo baciò e piansero”. (Gn 33,4)

- Signore aiuta gli abitanti della Terra Santa a seguire l’esempio di Esaù e Giacobbe e a riconciliarsi gli uni con gli altri.


“Lampada per i miei passi è la Tua parola, luce al mio cammino”. (Sal 119, 105)

- Signore, quando accendiamo questa lampada, lascia il tuo spirito entrare nei cuori di quanti vivono in Terra Santa, affinché sia lampada per i loro passi e luce per la loro strada.


“Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. (Gv 14, 27)

- Signore, fa che la Tua pace possa essere condivisa da tutti coloro che abitano in Terra Santa. Amen !





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