giovedì 31 ottobre 2019

Gerusalemme, incrocio di destini e crocevia di fedi e culture. Tra luce e buio, di Bruno Forte


Gerusalemme, incrocio di destini e crocevia di fedi e culture.

Tra luce e buio.

di Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto

Gerusalemme, per chi come me l’ha visitata tantissime volte, appare sempre la stessa, bella e regale: come dice il testo della canzone “Gerusalemme d’oro” (Yerushalayim shel zahav), scritta e musicata da Naomi Shemer, «nel sonno lieve di alberi e pietre, prigioniera del suo sogno, la città sorge solitaria con, nel suo cuore, un muro... Gerusalemme d’oro, di bronzo e di luce... il tuo nome mi brucerebbe le labbra come il bacio di un serafino se mi dimenticassi di te, Gerusalemme tutta d’oro...». 
Eppure, ogni volta che sali a Gerusalemme unica e nuova è l’impressione che suscita la Città santa, con le sue case e gli edifici rivestiti di pietra, col suo cielo terso e purissimo, con la luce dorata che avvolge ogni cosa, riflessa dalle rocce dei monti della Giudea. Costante resta la percezione di trovarsi in un luogo unico al mondo, perché in nessun altro posto dolore e amore, sofferenza e attesa, si mescolano come qui, nella città dei patriarchi e dei profeti, del Calvario e dell’Anàstasis, della croce e della risurrezione, “ombelico del mondo”. 
Lo afferma il detto rabbinico: «Quando Dio creò il mondo, di dieci misure di bellezza, nove le diede a Gerusalemme e una al resto del mondo. Di dieci misure di sapienza, nove le diede a Gerusalemme e una al resto del mondo. Di dieci misure di dolore, nove le diede a Gerusalemme e una al resto del mondo». 
Lo evocano i versi di Paul Celan, il poeta ebreo autore tra l’altro di una raccolta intitolata Ciclo di Gerusalemme: «Sii come Tu sei, sempre / Alzati, Gerusalemme, ora / sollevati / anche chi ruppe il vincolo verso di te, / ora sarà / illuminato / se bocconi di fango ha ingoiato ... / sorgi / illuminalo». 
La luce e il buio coabitano nella Città santa, come il fango e lo splendore che sorge a rischiarare ogni cosa, e il loro incontro è sempre attuale. 
Lo conferma un narratore-poeta, Erri De Luca, nel suo singolare Omaggio a Gerusalemme: «C’e una città del mondo in cui prima di uscire di casa fai testamento, / perché le fermate degli autobus, specialmente quelle affollate, sono bersagli per automobili apposta lanciate addosso. / C’è una città del mondo in cui quando sali su un autobus o entri in un bar, puoi esplodere accanto a un passeggero imbottito di morte. / C’è una città del mondo in cui i coltelli in mano a ragazzi di quartieri di periferia servono a pugnalare cittadini a caso. / Questa è la città dichiarata ombelico del mondo. / Questa città a forma di vulcano, sputa sangue, collera, paura. / Le sue pietre sono bianche, le sue vie rischiose, la mano armata attacca il suo cielo». 
Incrocio di destini, crocevia di lingue, di fedi e di culture, Gerusalemme è però, nonostante tutto, la “città della pace”, dove il conflitto è sempre presente e non di meno lo sono il desiderio e la ricerca della pace, in quanto chiunque può riconoscervi il laboratorio universale dell’umanità nuova, dove tutti siamo nati e dove tutti rinasceremo nella valle di Giòsafat: «Si dirà di Sion: L’uno e l’altro in essa sono nati e lui, l’Altissimo, la mantiene salda. Il Signore registrerà nel libro dei popoli: Là costui è nato. E danzando canteranno: Sono in te tutte le mie sorgenti» (Salmo 87, 5-7). Perciò la città futura non potrà brillare d’altra luce che di quella di Gerusalemme: «E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Apocalisse, 21, 1-2). 
Questa futura città della pace non sarà frutto delle nostre mani: verrà dall’alto, dono da invocare e a cui aprirsi. «L’angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio» (v. 10). Perciò da Gerusalemme si leva ogni giorno al cielo la preghiera per la pace, appello al cuore divino, ma anche alla coscienza di tutti, nessuno escluso. Quale via indicare per rispondere a quest’appello? 
Frédéric Manns, biblista di fama mondiale, che vive e insegna a Gerusalemme da quasi quarant’anni, afferma: «La riconciliazione sarà possibile solo se ognuno perdonerà le offese ricevute e abbandonerà la pretesa di essere l’unico che ami Gerusalemme. Questo è il prezzo da pagare per la pace. Non si tratta di elaborare nuove ideologie, ma di accogliere Dio che bussa alla porta. Il Dio dell’Alleanza ha sempre chiesto a Israele di rispettare lo straniero che vive nel suo seno. Fin quando non ci sarà pace nelle religioni non ci sarà pace a Gerusalemme».
Tre condizioni risultano da questo programma che un incontro con Gerusalemme ti impone di accogliere: l’umiltà di non voler essere soli a costruire la pace, di aver anzi bisogno assoluto dell’altro, fosse pure avversario o nemico; il perdono da chiedere e offrire da parte di tutti, nessuno escluso, perché tutti siamo colpevoli del conflitto, dovunque esso regni, e tutti responsabili verso la pace, dovunque si voglia tesserne il patto; il compito delle religioni, che lungi dall’essere strumento alienante o fonte di scontro, come troppo spesso sono diventate nell’uso dei potenti di turno, sono chiamate a essere fonte ispiratrice della pace che l’unico Dio, Signore del cielo e della terra, vuole per tutti i suoi figli. 
Il dialogo portato avanti con umiltà, la disponibilità a chiedere e offrire riconciliazione, la preghiera all’Eterno, Re della pace, e il quotidiano impegno a tessere dovunque legami di accoglienza, di rispetto e di fraternità e a vivere il servizio al bene comune, più grande e necessario di ogni interesse egoistico, sono i passi da compiere per essere costruttori di pace. Salutando Gerusalemme dal monte del pianto, il monte dell’addio da cui per l’ultima volta coloro che partono verso Occidente vedono le forme incantate della Città santa, stracciandosi le vesti e piangendo, è questo l’impegno che i pellegrini portano a casa e nel cuore. 
Perché non immaginare allora un universale pellegrinaggio dei popoli, che porti al monte di Sion l’umanità intera e la impegni in quel lembo sacro di terra, segnato dalla spianata del Tempio, dal Calvario e dalle Moschee, a divenire nel quotidiano di ciascuno operatrice di pace? È il sogno dei cantori e dei profeti in quelle composizioni di fede e di poesia che descrivono il pellegrinaggio di tutti popoli, nessuno escluso, alle sorgenti poste dall’Eterno in Sion, come i Salmi delle ascensioni (quindici Salmi, dal 120 al 134, ognuno indicato come Shir hamma’alot, “Cantico delle ascensioni”).
È il solo cammino che potrà dare al mondo un nuovo futuro, l’avvenire della pace promessa e desiderata nella giustizia e nella verità, di cui tutti abbiamo immenso bisogno e per cui tutti dobbiamo pregare, come ci invita a fare un altro, significativo canto dedicato a Gerusalemme, ispirato al Salmo 122 (v. 6: «Chiedete pace per Gerusalemme»): «Shaalu Shalom Yerushalayim, ... Shalom, Shalom... Shaalu Shalom Yerushalayim! Prega per la pace di Gerusalemme... Gerusalemme in pace vivrà!».



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(L’Osservatore Romano, Venerdì 12 Luglio 2019, 4)
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