sabato 26 settembre 2020

Riflessioni dalla Terra Santa, di Mr. Sami El-Yousef, CEO del Patriarcato


Riflessioni dalla Terra Santa 
di Mr. Sami El-Yousef, CEO del Patriarcato


Chi avrebbe mai immaginato che la pandemia, che pensavamo che di questi tempi ormai sarebbe stata alle nostre spalle, sarebbe stata invece ancora più forte che mai, costringendoci tutti a vivere in una nuova normalità che è molto incerta e continua a cambiare ogni giorno? Chi avrebbe mai pensato che turismo e pellegrinaggi in Terra Santa avrebbero avuto un arresto improvviso, rendendo decine di migliaia di persone disoccupate, con un crollo verticale di tutte le economie mondiali?

Chi avrebbe mai pensato che la riapertura delle scuole sarebbe stata una decisione così incerta nel mondo, così da lasciare miliardi di genitori in difficoltà con bambini in età scolare, in un inedito limbo? Chi avrebbe pensato che anche quando un vaccino fosse stato introdotto, molte persone sarebbero state restie a farlo? E l’elenco del “chi avrebbe mai pensato” potrebbe non avere fine…

Ciò che comunque è chiaro è che le economie avanzate, che hanno sviluppato sistemi sanitari, sembrano aver sofferto di più, apparendo essere quelle i cui cittadini sembrano avere le più grandi difficoltà da affrontare. Al riguardo, considerando le comunità locali in Medio Oriente con economie depresse, alcune delle quali devono confrontarsi con problemi come occupazione, chiusure e blocchi, serie restrizioni degli spostamenti, e sistemi sanitari inefficienti, si può osservare che finora queste comunità sembrano avere affrontato bene la pandemia e i suoi effetti. Ironicamente e come esempio, la nostra parrocchia in Gaza è stata una delle pochissime capaci di organizzare su larga scala campi estivi per i suoi giovani, dal momento che Gaza fino a recentemente non ha avuto casi locali di Covid. Dopotutto, almeno c’é stato un effetto positivo del blocco lungo 13 anni su Gaza.

Come aggiornamento sulla situazione sanitaria, dopo le prime severe restrizioni in Palestina, Israele e Giordania e ciò che è sembrato essere un contenimento della diffusione del virus, con il successivo rilassamento è arrivata una ripresa che è molto preoccupante. In Israele, ci sono oggi circa 115.000 casi e il totale delle morti è oltre 900, mentre in Palestina malgrado uno stretto lockdown e regolamenti di emergenza limitativi, i casi oggi sono circa 23.000 e il totale delle morti è intorno a 150. Anche la Giordania, che ha viaggiato molto meglio che i paesi vicini, ha visto una crescita, con finora circa 2.000 casi e 15 morti. E’ anche chiaro che le persone, in generale, sono stanche delle varie restrizioni e sembrano essere diventate meno attente riguardo alla salute e le regole di sicurezza. Questo è apparso evidente quando il ritorno ai grandi raduni e banchetti di nozze sembra essere diventato la maggiore causa di contagio. La preoccupazione è che se ci fosse bisogno di ulteriori lockdown, ci sarebbero seri problemi con il rispetto delle regole.

Lasciatemi riflettere sul generoso sostegno ricevuto in risposta ai due appelli lanciati per aiutarci ad affrontare i problemi correlati al Covid-19. La risposta al primo appello lanciato per conto del LPJ dal Gran Maestro dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme Sua Eminenza il Cardinal Filoni, è stata la più generosa dal momento che le diverse luogotenenze nel mondo si sono affrettate a raccogliere cospicui fondi per supportare i loro fratelli e sorelle in Terra Santa. E’ stata un’incredibile manifestazione di solidarietà, considerato che si tratta una pandemia mondiale con sofferenze in tutto il globo, eppure i dediti membri dell’Ordine hanno pensato bene di non dimenticare i loro confratelli cristiani, in alcuni casi persino trascurando le sofferenze delle propri connazionali. Per quanto riguarda il secondo appello lanciato dall’Arcivescovo Pizzaballa per le scuole LPJ in Palestina e Giordania, la risposta è stata generosissima e ha certamente superato le aspettative, mentre diversi singoli, diocesi e anche governi sono venuti in soccorso donando largamente.

Con i due appelli, circa due mila famiglie sono state sostenute finora attraverso coupon per le provviste di cibo, prodotti per l'igiene e per i bambini, ricariche per la fornitura di energia elettrica e farmaci. Ciò è stato fatto attraverso i nostri parroci e i consigli parrocchiali che hanno lavorato con le autorità locali e caritatevoli per raggiungere le persone più in necessità ed evitare doppioni.

Inoltre per aiutare le famiglie a risolvere i loro obblighi finanziari verso le scuole LPJ, finora 1238 famiglie sono state supportate nelle scuole giordane e 1180 nelle scuole in Palestina. Il numero degli aiuti umanitari e del sostegno scolastico certamente raddoppierà nei prossimi mesi, mentre continuiamo a ricevere e erogare i fondi raccolti.

In un modo davvero unico, lo spirito di comunità che è sorto mentre i lockdown e la crisi erano al loro culmine è stato evidentissimo, consentendo di trasformare ciò che è apparso essere una proiezione finanziaria molto cupa, in relativa stabilità, per il momento. Non sono stati soltanto i risultati degli appelli ad essere una benedizione, ma anche i discreti contributi delle comunità locali e della nostra gente all’interno della famiglia allargata del LPJ.

Vescovi, sacerdoti e religiose hanno dato volontariamente parte o tutto del loro modesto stipendio mensile; centinaia di membri dello staff hanno dato indietro spontaneamente parte del loro salario; tutto il personale scolastico ha acconsentito di dilazionare il pagamento di una parte del loro salario per consentirci di pagare gli stipendi e mantenere le nostre porte aperte e le nostre attività funzionanti il più a lungo possibile. Questo ha permesso al LPJ di mantenere il 99% dei suoi 1850 impiegati in piena attività, dando loro un senso di sicurezza e continuità in un tempo in cui gli effetti della pandemia hanno colpito le famiglie di diversi nostri impiegati, dal momento che molte mogli hanno perso il loro lavoro. Anche se finora siamo in grado di comportarci in questo modo, dobbiamo essere realistici e riconoscere che se la sanità e gli effetti economici peggiorassero criticamente nei prossimi mesi, questo approccio in futuro potrebbe non essere sostenibile. Il nostro piano continua ad essere mantenere in piena capacità il nostro personale per quanto realisticamente possibile, per non aumentare la sofferenza del nostro staff e delle comunità locali.

Per quanto riguarda le scuole, hanno fatto uno sforzo eroico concludendo l’anno accademico 2019/2020 mediante l’insegnamento a distanza. Anche se questo non è il metodo ideale, con una buona preparazione e un quadro dedicato è stato possibile. I risultati finali di coloro che hanno sostenuto l’esame di stato sono stati eccellenti e hanno coinciso con i risultati degli anni precedenti o li hanno superati.

Le lezioni apprese durante questo periodo sono in fase di revisione, con uno sforzo di migliorare le richieste di hardware e software come anche le capacità degli insegnanti, per metterli in grado di essere meglio attrezzati nel 2020/2021 per confrontarsi con i vari modelli “educazione mista” che vengono promossi. Questo potrebbe richiedere una combinazione di alcune presenze in classe accanto a lezioni online. Tuttavia l'incertezza circonda la migliore pianificazione, poiché siamo tutti vincolati agli sviluppi in corso sul fronte sanitario e i migliori piani potrebbero essere messi da parte dall'oggi al domani qualora si verificasse un ulteriore deterioramento della situazione sanitaria. Tuttavia ciò che la pandemia ha insegnato a tutti noi è pazienza, flessibilità e perseveranza. Queste qualità sono necessarie se vogliamo servire le nostre comunità in modo ottimale in futuro.

Malgrado tutte le difficoltà, lockdown e regole governative, e dopo una pausa di circa tre mesi, il lavoro sul progetto di implementazione è ripartito. Questo è stato un passo necessario, per generare occupazione nelle comunità locali in modo da alleggerire le sofferenze. Il più grande progetto di costruzione che è la chiesa di Jubeiha ha ricevuto una speciale esenzione dalle autorità giordane e il lavoro è ripartito in giugno malgrado il lockdown. I progressi sono stati costanti e il completamento del progetto è ormai quasi raggiunto. Speriamo che la Chiesa possa essere inaugurata durante la prima visita di sua Eminenza il Cardinal Filoni in Terra Santa, quando le restrizioni di viaggio e i programmi lo permetteranno. Avendo la capacità potenziale di accogliere circa mille fedeli, sarà la più grande chiesa della Giordania.

In conclusione, per riflettere sul lato noioso della ristrutturazione amministrativa e finanziaria che ha avuto luogo negli ultimi due anni, posso dire con orgoglio che siamo a buon punto della sua attuazione. Non abbiamo ancora pieno successo in tutte le aree, ma abbiamo identificato dove ci sono carenze e queste vengono affrontate. Le nostre strutture oggi sono costruite su standard professionali con piena trasparenza e affidabilità, e possono essere guardate come un modello da emulare da molte istituzioni ecclesiastiche locali e persino internazionali. Inoltre, il debito più grande derivante dalla costruzione dell'Università di Madaba, che gravava ed è stato garantito dalle autorità di Roma, di recente è stato saldato per intero, alleggerendo il LPJ di un consistente debito estero. Ciò non è stato facile, per poterlo fare la Chiesa ha dovuto prendere la decisione dolorosa di vendere alcune proprietà a Nazareth. Inoltre, si sta tentando di attuare piani per estinguere i restanti prestiti esterni locali e si prevede che ciò potrà essere realizzato realisticamente entro i prossimi 12-24 mesi. Questi sviluppi consentiranno ora al LPJ di esaminare le questioni più strategiche che la Chiesa in Terra Santa deve affrontare e lavorare attivamente per trovare soluzioni adeguate alle numerose sfide.

Mentre la disoccupazione ha raggiunto livelli senza precedenti e le sofferenze continuano, e nonostante la mancanza di chiarezza a livello politico, i discorsi sull'annessione continuano ad essere sul tavolo e le prospettive di una stagione influenzale si uniscono al continuo diffondersi della pandemia. Bisogna concentrarsi sulle molte benedizioni di cui continuiamo a godere e ricordare che non siamo soli. Adeguate decisioni locali, unite a una generosità senza precedenti da tutto il mondo, ci assicurano che non siamo dimenticati e ci impongono una sempre maggiore responsabilità per portare avanti la sacra missione della Chiesa in Terra Santa. Mille grazie a tutti coloro che hanno contribuito finanziariamente a sostenerci, ma soprattutto, molte grazie a tutti coloro che si sono ricordati di noi nella preghiera!

Sami El-Yousef
Direttore Esecutivo
2 Settembre 2020


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https://www.lpj.org/it/posts/terra-santa-riflessioni-di-mr-sami-el-yousef-ceo-del-patriarcato-latino.html


martedì 23 giugno 2020

Messa Crismale 2020: Omelia di Mons. Pierbattista Pizzaballa



Omelia Messa Crismale 2020

Mons. Pierbattista Pizzaballa




Gerusalemme, Basilica del Getsemani, 18 giugno 2020
Is 61,1-3.6.8-9; Ap 1,5-8; Lc 4,16-21




Eccellenze Reverendissime,

Cari sacerdoti, Cari religiosi e religiose,

Vi saluto con le parole dell’Apocalisse che abbiamo appena ascoltato: “Grazia a voi e pace da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra”!

Penso che sia la prima volta da molto tempo che ci ritroviamo per la Messa crismale, fuori dalla Settimana Santa e, soprattutto, fuori dalla Basilica del Santo Sepolcro. Ma è comunque anche questo un tempo provvidenziale, perché dentro le nostre celebrazioni, in qualunque luogo o tempo la Chiesa si raduni, è sempre Lui che ci raduna, è sempre Lui “che ci ama e ci libera dai nostri peccati con il suo sangue, e che fa di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre. A lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.” (cf Ap 1, 5-6).

Vorrei partire da un avverbio di tempo che abbiamo appena ascoltato nel Vangelo: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Lc 4,21). Oggi. Sento profondamente l’esigenza di condividere con voi quello che ci dice la nostra fede, per non vivere in modo superficiale il nostro “oggi”. Anche questo tempo, anche questo pezzo di storia così complesso e difficile che stiamo vivendo appartiene all’ “oggi” di Cristo, è attirato in quel compimento che avviene ogni volta che noi ascoltiamo con i nostri orecchi la Sua Parola e spezziamo con le nostre mani il Suo Pane.

Non riesco perciò a pensare questa nostra celebrazione della Messa Crismale di oggi solo come un rinvio imposto dalle circostanze che conosciamo. Mi appare piuttosto come un invito a un approfondimento o, meglio, ad un prendere un’altra posizione. Il Signore, oggi, come aveva fatto nella sinagoga di Nazareth, ci chiede di aprire di nuovo il rotolo delle Scritture, di leggervi la verità del nostro presente, e di riavvolgervi dentro la vita: la vita di ognuno di noi, la vita delle nostre società, la vita della nostra Chiesa, con le sue attese, le sue speranze e le sue fatiche. Il periodo difficile che abbiamo vissuto, per la pandemia e per le sue conseguenze, deve diventare anche un invito a ripensare a noi stessi in modo diverso, a prendere un nuovo posto nel mondo... ma anche antico: il posto che Gesù prende nella sinagoga di Nazareth. Che cosa ha annunciato Gesù in quel momento? La profezia messianica, la liberazione, la possibilità della consolazione (Cf Lc 4,18). Insieme a Gesù e come Lui, tra le tante voci confuse che abbiamo sentito in questi giorni, come Chiesa e come sacerdoti, abbiamo la grazia e il compito di far risuonare innanzitutto la Parola di Dio, che corregge visioni antropologiche troppo miopi, che dilata strategie politiche e sociali troppo ristrette, che indica alle nostre comunità, stanche e disorientate, strade evangeliche di fede e di essenzialità, di sobrietà e di condivisione. Solo così non ci lasceremo andare a un generico ottimismo a buon mercato. Al contrario, ritroveremo nella Parola di Dio la forza e il coraggio di gesti e parole di speranza, fondata sul Dio dell’Alleanza che – come ci ricorda il profeta Isaia - mai viene meno alla Sua promessa di ricostruire sulle nostre macerie... L’olio degli infermi ci invita a questo: non ad essere gli infermieri di un mondo in agonia, ma i testimoni della Salvezza, che è più di una guarigione.

Oggi noi ritorniamo al sacerdozio: lo vogliamo contemplare cercando di ritrovare in esso l’intenzione di Dio e la Sua volontà. Anche in questo caso dovremo riposizionarci e ripensarci. Anche in questo caso, non dobbiamo inventare nuovi posti o nuovi ruoli della Chiesa e dei sacerdoti nel mondo, ma solo ricollocarci nel posto che fu di Gesù e che deve essere anche il nostro: il Cenacolo e la Croce. Non voglio fare una apologia del dolore, ma ricordare che si può stare nel dolore trasformandolo in offerta, fino al dono di sé. Il Luogo nel quale ci troviamo, il Getsemani, ci richiama proprio a questo, ad un abbandono totale nella volontà di Dio. Siamo qui oggi anche per assumerci nuovamente l’impegno di fare nostra la Sua volontà e la Sua vita. E saremmo degli illusi se pensassimo che questo abbandono viene da sé, come qualcosa di automatico. Lo stesso Gesù nel Getsemani vive l’esperienza di una lotta drammatica, della tentazione che lo porterebbe a preferire la propria volontà: “Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!” (Matt. 26,39).

Qui al Getsemani è in gioco la relazione di Gesù con il Padre, che è costitutiva dell’identità di Gesù, che è Figlio e solo Figlio. Gesù da sempre ha vissuto con il Padre una relazione filiale di amore, di obbedienza, di fiducia completa, di reciprocità. Ma ora Gesù sente che questa fedeltà al progetto del Padre gli chiede di rinunciare proprio a quella sua stessa identità di Figlio. Si tratta, infatti, di prendere su di sé il peccato dell’uomo, cioè la disobbedienza al Padre. Paradossalmente, per essere fedele al Padre, Gesù lo deve perdere. Perdere il Padre, vivere con l’uomo peccatore l’estrema lontananza da Dio, accettare questa totale solitudine e abbandono, è l’unico modo in questo momento per rimanere Figlio. È, paradossalmente, l’unico modo per amare il Padre in quest’ora decisiva.

Qui al Getsemani è in gioco anche la relazione con i propri fratelli, con l’umanità che Gesù ha assunto e che i discepoli rappresentano molto bene. In questo momento decisivo Gesù deve dare la vita ai suoi fratelli che, in quel momento, cosa fanno? Dormono, non sono con Lui e manifestano, dunque, ai suoi occhi la loro estrema fragilità.

È in gioco un’altra relazione molto importante: quella con il maligno, con Satana. Che qui ritorna con la sua forza tentatrice e spera di trovare un Gesù debole, vuole vincerlo, insinuarsi tra il Padre e Gesù come si era insinuato tra Dio e Adamo, come ha cercato di fare all’inizio, con le tentazioni nel deserto. Satana vuole separare Gesù dal Padre, tentandolo a fare la propria volontà e non quella del Padre.

Alla luce di tutto ciò, qui in questo Luogo e nei nostri diversi Getsemani, tutti noi, ma soprattutto noi vescovi e sacerdoti, diciamo e dichiariamo la nostra volontà di unirci a Gesù, di identificarci con Lui. Dichiariamo con forza il nostro desiderio di rinunciare a qualsiasi cosa ci impedisca di vivere pienamente e fino in fondo quella stessa relazione che ha nutrito Gesù, siano essi beni materiali, superbie umane o spirituali; vogliamo rinnovare la nostra obbedienza a Dio Padre senza condizioni, qualunque essa sia, perché così troveremo la nostra libertà di figli e lo faremo rinnovando la nostra obbedienza alla Chiesa e ai suoi pastori. Riaffermiamo, inoltre, fedeltà, amore e fiducia ai fratelli e alle sorelle di questa nostra Chiesa, siano essi svegli o dormienti, fedeli o traditori. Dicendo sì al Padre, diremo sì ai nostri fratelli e sorelle, così come sono. E proprio per questo diremo di no a Satana, al suo potere divisivo e a tutto ciò che ci separa da Dio e dagli altri. Sarà questo il nostro modo nuovo e antico, di vivere il nostro sacerdozio.

Qui chiediamo che il Suo Spirito ci doni un cuore capace di amare. Perché solo l’amore è più grande del dolore e trasforma la disperazione in speranza e la rassegnazione in missione. È lo Spirito che, attraverso il crisma, ci trasforma e ci rende capaci di essere sacerdoti di una nuova alleanza. Uomini e donne, Chiesa intera che non ha paura di fare proprio lo stile di vita di Gesù e del cristiano: perdere per ritrovare, donare per possedere, morire per risorgere... Come già dicevo celebrando la festa del Corpus Domini, il culto nuovo di cui siamo ministri chiede di essere verificato nella esistenza quotidiana, vissuta nell’offerta di sé (cf Rm 12, 1ss), pena la sua inutilità. I tempi che verranno, infatti, ci annunciano povertà e sofferenze antiche e nuove, e ci chiederanno un supplemento di giustizia, di riconciliazione e di amore. Non saremmo credibili, perciò, se ci recassimo all’altare per celebrare l’Eucarestia, senza avere celebrato anche il completo dono di sé nella vita del mondo, nelle nostre comunità, assumendo la fatica e l’impegno di portare i pesi gli uni degli altri, nella gioia e nel dolore, nella solitudine del ministero o nella fraternità condivisa.

E così, in un tempo dove la testimonianza cristiana e la presenza della Chiesa sembra essere destinata alla irrilevanza o all’incomprensione, scopriremo un nuovo “protagonismo”, una nuova “regalità” che non è sinonimo di potere per noi, ma di verità e di libertà: la libertà dei figli di Dio. “Ha fatto di noi un Regno” (Ap 1,6), dice l’Apocalisse; Regno che però non è di questo mondo. In Cristo e come Lui, noi siamo Re. Significa che in mezzo a un mondo che parla di libertà ma inventa sempre nuove forme di schiavitù, siamo chiamati a restare liberi: liberi per il Regno, liberi da pesi inutili, da usanze e tradizioni forse rassicuranti ma che non parlano più alla vita perché non sanno più di vita, liberi per l’oggi della Salvezza che risuona in ogni incontro vero con Cristo! L’olio dei catecumeni che oggi benediciamo ci richiama questa dignità ma anche questo coraggio battesimale, che dovrebbe renderci tutti non opposti gli uni agli altri, ma testimoni sempre nuovi di verità e libertà evangeliche, in un mondo che spesso, sotto apparenze di novità, ripropone vecchie logiche di dominio e prevaricazione.

Permettetemi infine di sognare e di pregare con voi per una Chiesa veramente profetica, profondamente sacerdotale, autenticamente regale.

Profetica, perché libera dalle logiche umane di potere, e perciò capace di consolazione, di visione e di coraggio. Capace di parlare al cuore dell’uomo e di indicare la risposta alla sete di vita e di amore che vi è in ciascuno di noi.

Sacerdotale, perché capace di stare tra gli uomini e Dio, di intercedere presso Dio per il bene del mondo, di portare a Dio e offrire a Lui la propria vita per amore del mondo.

Regale, perché capace di testimoniare la signoria di Cristo sul mondo, signoria di amore, di dono, di libertà e di gratuità.

Possa dunque la nostra Chiesa di Cristo in Gerusalemme essere anche qui, in mezzo alle difficili vicende di questa Terra, testimonianza sincera della Regalità di Cristo. Amen.

+Pierbattista



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