domenica 20 aprile 2025

Omelia del Cardinale Pizzaballa Pasqua 2025


Cardinale Pierbattista Pizzaballa
Patriarca Latino di Gerusalemme

Omelia Pasqua di Risurrezione

Gerusalemme, Santo Sepolcro, 20 aprile 2025
At 10,34.37-43; Col 3,1-4; Gv 20,1-9



Fratelli e sorelle,
il Signore vi dia pace!

Anche quest’anno siamo giunti qui, ai piedi della Tomba vuota di Cristo, per celebrare il termine della settimana di Passione, che è anche il cuore della vita della Chiesa, della nostra fede. È la nostra sola certezza che sta alla base della nostra esistenza: Cristo è risorto!

Non possiamo non interrogarci sul significato di questa celebrazione e di questo giorno, nel contesto storico drammatico che stiamo vivendo. Che significa, oggi, per la Chiesa di Gerusalemme incontrare e testimoniare il Risorto?

Il Vangelo parla di notte e buio, che però non spaventano più, perché stanno per cedere alla luce del mattino che incombe. Parla di pietra poderosa, ma ribaltata e che non rinchiude più nulla. Di discepoli che corrono. Di teli - segni della morte - che non legano più nessuno. Di occhi che vedono, di cuori che credono e della Scrittura che si svela alla comprensione piena. È un Vangelo pieno di slancio e di vita. E parla di noi!

Il Vangelo ci chiede di non rinchiuderci nei nostri cenacoli e di non misurare la nostra vocazione sulle tante paure, personali o collettive che siano, ma ci invita a leggere la realtà, quella della nostra Chiesa, alla luce dell’incontro con il Risorto, anche oggi. Direi soprattutto oggi.

Siamo la Chiesa del Calvario, è vero. Cristo crocifisso, tuttavia, non è solo simbolo di sofferenza, ma innanzitutto di amore e perdono. Siamo dunque anche la Chiesa dell’amore, che non dorme mai, che veglia continuamente, che ha sa perdonare e donare la vita, sempre, senza condizioni.

Siamo la Chiesa che custodisce il Cenacolo, ma non quello con le porte sbarrate e con i discepoli paralizzati dalla paura. Il Vangelo parla di Pietro e Giovanni che corrono fuori per incontrare il Risorto. Cenacolo è il luogo del Cristo Risorto che supera le porte chiuse e dona lo Spirito, e che per prima cosa dice “Pace a voi!”. E ci chiede, perciò, di essere una Chiesa che supera muri e porte chiuse, barriere fisiche e umane. Che crede, annuncia, costruisce la pace, ma “non come la dà il mondo” (Gv 14,27). Abbiamo visto come il mondo ragiona, pensa, valuta. E quanto povera sia l’idea di pace del mondo, oserei dire anche offensiva! Abbiamo assistito già troppe volte ad annunci di pace traditi e offesi. La Chiesa dovrà costruire la pace che è frutto dello Spirito, che dona vita e fiducia, sempre di nuovo, senza stancarsi mai. E che alle logiche umane di potere, alle dinamiche di violenza e di guerra, oppone dinamiche di vita, di giustizia e di perdono.

L’annuncio di risurrezione non è annuncio di immortalità, non ci dice che non faremo esperienza di morte, nelle sue diverse forme. Saremo rivestiti di immortalità (cf. 1Cor 15, 54) alla seconda venuta di Cristo, quando verrà a giudicare il mondo. La risurrezione che oggi vogliamo annunciare è innanzitutto annuncio di una vita nuova, luminosa, che emerge dalle ceneri della morte e dei suoi pungiglioni. Una morte che non sfugge alle miserie del mondo, quindi, ma le supera. La risurrezione è il “si” di Dio anche quando il mondo grida “no”. Anche e nonostante i tanti “no” di questo tempo, di un mondo sempre più avvitato in una spirale di paura e vendetta, di logiche di potere e di esclusione, in questo mondo noi vogliamo essere il “si” di Dio, coloro che con la vita e con le opere annunciano di appartenere al mondo voluto e creato da Dio, dove “amore e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno” (Sl 85,11). E che sanno testimoniare la pace del Cenacolo, perché l’hanno incontrata.

La risurrezione, quindi, non è solo gioia, annuncio, dono, esperienza. È anche responsabilità!

Se essere cristiani, infatti, credenti in Cristo, significa avere incontrato il risorto. Se siamo risorti con lui, se abbiamo fatto esperienza di salvezza e di nuova vita, allora per noi l’annuncio di risurrezione diventa un dovere. Non è un optional. Ed è nostra responsabilità farlo non solo anche quando la morte ci circonda, ma soprattutto quando la morte ci circonda. È qui e ora, in questo nostro specifico contesto che siamo chiamati a dire chi siamo e a chi apparteniamo. A dire con forza e determinazione che non abbiamo paura, che continueremo ad essere il piccolo resto, che però fa la differenza: a costruire relazioni, a spalancare porte chiuse, abbattere muri di divisione. Il risorto, “infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione …, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne” (Ef 2,14).

Siamo qui di fronte alla tomba vuota di Cristo, che è un segno e un annuncio potente. Ci ricorda che non importa quanto ingiuste siano le nostre prove, quanto umiliante sia lo stare sul Golgota, quanto pesante e dolorosa sia la croce. La tomba vuota di Cristo è per noi segno e prova che vedremo la giustizia, si compirà la speranza, si affermerà la pace.

Non siamo degli illusi. Sappiamo cosa sta accadendo tra noi e nel mondo, e non abbiamo molte speranze sulla capacità dei governanti di individuare soluzioni, che purtroppo appaiono sempre più lontane. E non possiamo non esprimere la nostra preoccupazione per un possibile ulteriore deterioramento della situazione politica e dell’aggravarsi del disastro umanitario che si sta compiendo, soprattutto a Gaza. Penso in particolare alla nostra piccola comunità che da molti mesi ormai, è diventata segno e simbolo di solidarietà e speranza, una piccola barca ancorata alla vita, in un mare di dolore e di sofferenza.

Ci sembra di percorrere una Via Dolorosa che non finisce mai, piena di continue prove. Ma so anche che nella Via dolorosa ci sono le donne di Gerusalemme che piangono silenziosamente per Gesù. C’è Simone di Cirene che interviene per condividere il peso della croce. C’è la Veronica che gli asciuga il viso. Il cammino della sofferenza non è mai solitario, perché su quella strada si risveglia la compassione, e l’amore prende forma. Ricordiamo quindi i nostri fratelli e le nostre sorelle di Gaza e di tutti quelli che soffrono a causa della guerra e sforziamoci di essere per loro e per quanti sono nella necessità, madri, Veroniche, Simoni di Cirene, e aiutarli a condividere il loro peso. Ricordiamoci di offrire gesti di dignità e di cura a chi sta in mezzo a noi. È il nostro modo di annunciare la vita e la risurrezione.

Non si tratta di essere incoscienti e visionari. Si tratta di avere fede, di credere fermamente che Dio guida la storia. Nonostante la piccolezza degli uomini, Dio non permetterà che il mondo si perda. “Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo” (Gv 12,47). Anche se ci sembra di essere ancora nella Via Dolorosa, sappiamo però che la conclusione è qui, all’incontro con la Tomba vuota di Cristo. E questa certezza ci accompagna sempre.

Seguire Gesù, anche dentro queste nostre prove durissime, è quanto di più avvincente ci possa essere. Non dimentichiamoci, insomma, che il Vangelo parla di pietra ribaltata. Anche se sono tanti i problemi e le difficoltà che ci affliggono, dunque, vogliamo affermare con serena fiducia e chiara determinazione che nulla ci tiene chiusi nei nostri sepolcri, che siamo Chiesa viva, che non si arrende di fronte ai macigni che sono posti di fronte a noi. Il Vangelo ci invita ad aprirci, a guardare oltre e correre, come le donne e i discepoli, ad annunciare che non c’è niente di più bello che vivere con Cristo Risorto, anche oggi, ovunque, e nonostante tutto: a Gerusalemme, a Betlemme, a Nazareth, ad Amman, a Nicosia, e anche a Gaza.

Affidiamoci alla Vergine Santissima, donna forte e integra, che sta ai piedi della Croce, ma anche Vergine della gioia per l’incontro col Cristo risorto. Sul suo esempio possiamo resistere nella prova e, grazie all'azione dello Spirito, vivere fino in fondo la gioia di sentirci sempre amati da Dio.





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domenica 13 aprile 2025

Messaggio Processione delle Palme Gerusalemme, 13 Aprile, 2025, Cardinale Pierbattista Pizzaballa


Cardinale Pierbattista Pizzaballa

Messaggio Processione delle Palme

Gerusalemme, 13 Aprile, 2025



“Osanna al Figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell'alto dei cieli”. (Mt 21,9)


Carissimi,
il Signore vi dia pace!

Invio un caro saluto a tutti voi qui presenti, fedeli della nostra diocesi, i pochi pellegrini presenti. Invio un caro saluto anche a quanti non sono qui con noi fisicamente ma sono uniti a noi nella preghiera. Oggi tutta la nostra diocesi, la Chiesa di Gerusalemme, è unita con noi e prega con noi. Da Gaza fino a Nazareth; da Betlemme fino a Jenin. Tutta la Giordania e Cipro pregano con noi e idealmente sono entrati con noi nella città Santa, Gerusalemme. E saluto in particolare voi, cristiani di Gerusalemme, per questo giorno che è dedicato a voi, che è soprattutto vostro, poiché voi siete coloro che qui a Gerusalemme tengono viva la fiamma della fede cristiana, e tenete viva la presenza di Cristo in mezzo a noi.

Non voglio ripetere le cose di sempre. Lo sappiamo che stiamo vivendo tempi difficili. Ma non possiamo e non vogliamo fermarci solo a dire quanto duri siano questi tempi. Oggi dobbiamo ricordarci di altro, di ciò che più conta. Noi siamo qui oggi, cristiani locali e pellegrini, tutti insieme, per dire con forza che non abbiamo paura. Siamo i figli della luce e della risurrezione, della vita. Noi speriamo e crediamo nell’amore che vince su tutto.

Stiamo per entrare nella settimana di passione. Vivremo negli stessi Luoghi in cui sono accaduti, i momenti della passione di Gesù. E unendoci a lui, ci uniremo anche a tutti coloro che oggi vivono qui in mezzo a noi e nel mondo la loro passione.

Ma noi sappiamo anche che la Passione di Gesù non è l’ultima parola di Dio sul mondo. Il Risorto è la Sua ultima parola, e noi siamo qui per dire e riaffermarla ancora. Noi lo abbiamo incontrato. E siamo qui per gridarlo, con forza, con fiducia, e con tutto l’amore possibile, che nessuno potrà mai estinguere. Nessuno ci separerà dall’amore per Gesù. E lo vogliamo testimoniare innanzitutto con l’unità tra noi, amandoci e sostenendoci gli uni gli altri, perdonandoci a vicenda.

Al suo passaggio, le folle stesero i propri mantelli ai piedi di Gesù e lo accolsero con quei pochi rami di ulivo e palme che riuscirono a trovare. Poniamo anche noi di fronte al nostro Messia quel poco che abbiamo, le nostre preghiere, il nostro pianto, la nostra sete di Lui e della Sua parola di consolazione. E qui, oggi, nonostante tutto, alle porte della Sua e nostra città, ancora una volta dichiariamo di volerlo accogliere davvero come nostro Re e Messia, e di seguirlo nel Suo cammino verso il Suo trono, la croce, che non è simbolo di morte, ma di amore.

Non dobbiamo avere paura di quanti vogliono dividere, di quanti vogliono escludere o vogliono impossessarsi dell’anima di questa Città Santa, perché da sempre e per sempre Gerusalemme resterà casa di preghiera per tutti i popoli (Is 56,7), e nessuno la potrà possedere. Come continuo a ripetere, noi apparteniamo a questa città e nessuno ci può separare dal nostro amore alla Città Santa, così come nessuno ci può separare dall’amore di Cristo (Rm 8,35).

Chi appartiene a Gesù continuerà sempre ad essere tra coloro che costruiscono e non che abbattono, che sanno rispondere all’odio con l’amore e l’unità, e al rifiuto oppongono accoglienza.

Perché Gerusalemme è il luogo della morte e risurrezione di Cristo, il luogo della riconciliazione, di un amore che salva e che supera i confini di dolore e di morte. E questa è la nostra vocazione oggi: costruire, unire, abbattere barriere, sperare contro ogni speranza (cf Rm 4,18). Questa è e resta la nostra forza e questa sarà sempre la nostra testimonianza, nonostante i nostri tanti limiti.

Non scoraggiamoci, dunque. Non perdiamoci d’animo. Non perdiamo la speranza. E non abbiamo paura, ma alziamo lo sguardo con fiducia e rinnoviamo ancora una volta il nostro impegno sincero e concreto di pace e di unità, con salda fiducia (cf. Eb 3,14) nella potenza dell’amore di Cristo!

Buona Settimana Santa a tutti!



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