giovedì 25 dicembre 2025

Natale 2025 - Messa della Notte, Omelia del Card. Pierbattista Pizzaballa



OMELIA DEL CARD. PIERBATTISTA PIZZABALLA
Patriarca Latino di Gerusalemme

Natale 2025 – Messa della Notte
Is 9,1-6; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14




Cari fratelli e sorelle,
il Signore vi dia pace.

Il Vangelo che abbiamo appena ascoltato si apre con parole sobrie e precise: «In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra» (Lc 2,1). Luca colloca la nascita di Gesù dentro la grande storia del mondo, segnata da decisioni politiche, da equilibri di potere, da logiche che sembrano governare il corso degli eventi. Come allora, anche oggi la storia è segnata da decreti, decisioni politiche, equilibri di potere che spesso sembrano determinare il destino dei popoli. La Terra Santa ne è testimone: le scelte dei potenti hanno conseguenze concrete sulla vita di milioni di persone.

Il Natale, tuttavia, ci invita a guardare oltre la logica del dominio, per riscoprire la forza dell’amore, della solidarietà e della giustizia. Non è un racconto sospeso fuori dal tempo, ma un avvenimento che accade mentre la storia procede secondo strade che non sempre comprendiamo e che spesso non scegliamo.

L’incipit del brano evangelico non è un semplice dettaglio cronachistico, ma una scelta profondamente teologica. L’evangelista Luca ci dice che Dio non ha paura della storia umana, nemmeno quando essa appare confusa, segnata da ingiustizie, violenza e dominio. Dio non crea una storia parallela, non entra nel mondo quando tutto è finalmente ordinato e pacificato. Entra nella storia reale, concreta, talvolta dura, e la assume dall’interno.

Il decreto di Cesare sembra dominare la scena: l’imperatore che conta, registra, organizza, governa. Tutto appare sotto controllo, tutto sembra obbedire a una logica di potere che decide per i popoli. Eppure, senza saperlo, proprio quel decreto diventa strumento di un disegno più grande. La storia che pretende di bastare a se stessa diventa il luogo in cui Dio compie la sua promessa. Questo è uno dei grandi annunci del Natale: Dio non aspetta che la storia migliori per entrarvi. Entra mentre la storia è quella che è. Così ci insegna che nessun tempo è definitivamente perduto e che nessuna situazione è troppo oscura perché Dio vi possa abitare.

Per questo il Vangelo non comincia con un miracolo clamoroso, ma con un atto amministrativo; non con un canto di angeli, ma con un censimento. È lì che Dio si fa vicino. Giuseppe e Maria si mettono in cammino non per un progetto scelto da loro, ma per obbedienza a un ordine che viene dall’alto. Si muovono dentro una storia che non controllano, dentro decisioni prese altrove. E proprio attraversando queste circostanze, apparentemente estranee alla promessa, Dio porta a compimento la sua Parola.

A Natale Dio non si arrende al mondo, come a Pasqua Cristo non è sconfitto dal male. A Natale Dio ama il mondo fino in fondo, lo assume, lo prende su di sé. Potremmo dire che Dio, facendosi uomo, “sposa” il reale. Tutto ciò che è umano, per Lui, non ha cessato di essere degno di essere abitato. Il peccato ha certamente sfigurato la nostra somiglianza con Dio, ma non ha cancellato la Sua immagine in noi e nella creazione. Per questo il mondo resta benedetto, anche quando il canto di lode per la sua bellezza si trasforma in grido di salvezza.

L’Eterno, entrando nel tempo, lo ha reso gravido di speranza e di futuro. Ha spezzato il ciclo sterile di una cronaca che si ripete, spesso amaramente, e ha trasformato le nostre vite fragili, i nostri momenti difficili, in luoghi di storia di salvezza. Da quel momento, la storia merita sempre di essere vissuta, perché in essa è stato deposto un seme invincibile di pace. Il Figlio di Dio, facendosi neonato e scegliendo di percorrere tutto il cammino umano dalla nascita alla morte, ci dice che vale la pena essere uomini e donne, oggi e sempre, perché la vita umana, fatta propria dal Verbo eterno, è diventata il luogo santo in cui Dio continua a compiere le sue meraviglie.

La nascita di Gesù avviene nella notte. Non solo nella notte cronologica, ma nella notte dell’umanità: il tempo del limite, dell’incertezza, della paura. Eppure, è proprio in questa notte che la luce viene donata. Una luce che non elimina la notte, ma vince le tenebre che l’accompagnano. La luce di Dio non abbaglia, né impone: illumina il cammino e rende possibile continuare a camminare.

Nel racconto di Luca emerge un contrasto decisivo: da una parte l’imperatore che dispone dei popoli, dall’altra un bambino che nasce senza potere. L’impero emana decreti, Dio dona un Figlio. Mentre la storia segue la logica della forza, Dio agisce nella discrezione e compie le sue promesse attraverso eventi ordinari

Questo contrasto non serve solo a commuoverci; serve a convertirci. Ci rivela come Dio sceglie di essere presente nel mondo e, di conseguenza, come anche noi siamo chiamati a stare nella storia. Il Natale, infatti, non è un rifugio spirituale che ci sottrae alla fatica del tempo presente. È una scuola di responsabilità. Ci insegna che la pienezza del tempo non è una condizione ideale da attendere, ma una realtà da accogliere. È Cristo stesso che rende pieno il tempo. Egli non aspetta che le circostanze siano favorevoli: le abita e le trasfigura.

«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14). Anche la pace annunciata dagli angeli va compresa in questa luce. Non è un semplice equilibrio, né il risultato di accordi fragili. È il frutto della presenza di Dio nella storia. È una pace che viene dall’alto, ma che non si impone. È donata, ma anche affidata. Dio fa la sua parte fino in fondo: entra nella storia, si fa Bambino, condivide la nostra condizione. Ma non sostituisce la libertà dell’uomo. La pace diventa reale solo se trova cuori disponibili ad accoglierla e mani pronte a custodirla.

Per questo il Natale ci consegna una responsabilità grande e concreta. Ogni gesto di riconciliazione, ogni parola che non alimenta l’odio, ogni scelta che mette al centro la dignità dell’altro diventa il luogo in cui la pace di Dio prende carne. Il Natale non ci allontana dalla storia, ma ci coinvolge profondamente. Non ci rende neutrali, ma partecipi.

Qui, in Terra Santa, questa verità risuona con una forza particolare. Celebrare il Natale a Betlemme significa riconoscere che Dio ha scelto una terra reale, segnata da ferite e da attese. La santità dei luoghi convive con ferite ancora aperte. Veniamo da anni durissimi, in cui guerra, violenza, fame e distruzione hanno segnato profondamente la vita di tanti, soprattutto dei più piccoli. Troppo pesante è diventata la situazione, troppo conflittuali i rapporti, troppo faticoso ricominciare e ricostruire. La storia ha mostrato in questi anni tutte le sue contraddizioni, la realtà ci è venuta incontro con il suo lato pesante, complicato, triste. Quello che per noi è evidenza concreta e dolorosa si percepisce però anche altrove nel mondo. C’è un diffuso desiderio di fuga dalla realtà. Si fugge da responsabilità troppo pesanti, si fugge dalla cura per il bene comune, per ritirarsi nel proprio interesse privato, si fugge da legami troppo impegnativi, per passare da una distrazione all’altra, in un clima di generale disimpegno. Un po’ ovunque, insomma, si percepisce grande disagio, a volte anche spirituale, incapaci come siamo di comprendere il perché di tutta questa violenza, e della cultura che la alimenta o che la ignora.

Le situazioni così difficili di questo tempo non sono il frutto del destino, ma di scelte politiche, di responsabilità umane, di decisioni che spesso mettono gli interessi di pochi davanti al bene di tutti. La Terra Santa, crocevia di popoli e di fedi, continua a essere teatro di tensioni e conflitti che chiamano in causa la responsabilità dei leader locali, della comunità internazionale, ma anche delle autorità religiose e morali.

In ogni parte della nostra Diocesi, le sfide non mancano. Nonostante la cessazione della guerra, a Gaza la sofferenza è ancora presente, le famiglie vivono tra le macerie, il futuro appare fragile e incerto. Le ferite sono profonde, eppure anche qui, proprio qui, risuona l’annuncio del Natale. Incontrandoli, sono rimasto colpito dalla forza e dal desiderio di ricominciare, dalla capacità di gioire ancora, dalla determinazione di ricostruire daccapo la loro vita devastata. Penso che in questo momento stiano davvero vivendo un loro Natale speciale, di nuova nascita e di vita. Sono per noi oggi una bella testimonianza. Ci ricordano come anche noi siamo chiamati a stare dentro la nostra storia. Ci interpellano chiedere con forza percorsi di giustizia e riconciliazione, di ascolto del grido dei poveri, affinché la pace non sia solo un sogno, ma un impegno concreto e una responsabilità per tutti.

«C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte» (Lc 2,8). Questa chiamata universale trova subito un volto concreto nel Vangelo: dopo la nascita di Gesù, lo sguardo si sposta dai potenti della storia ai pastori nei campi, uomini semplici, spesso invisibili, che rappresentano la vita ordinaria e la fatica quotidiana. Dio non si rivela ai privilegiati, ma ai cercatori; non a chi possiede, ma a chi veglia e a chi affronta la fatica quotidiana.

Qui e ora, tutti siamo chiamati a diventare primizia del Regno che viene. Non altrove, non in un tempo ideale. Qui, assumendo con coraggio le sfide di una convivenza spesso problematica e di una ricostruzione lenta e faticosa, siamo mandati dal Padre, con il Figlio, nella forza dello Spirito, a riparare rovine, a restituire speranza, a comunicare vita. Al seguito di Giuseppe e Maria, siamo invitati a rientrare nella nostra realtà con il passo della fiducia, certi che Dio ci precede nel cammino.

Carissimi,

La storia non cambia tutta in una notte. Ma può cambiare direzione quando uomini e donne si lasciano illuminare da una luce più grande di loro. Il Vangelo di questa notte interpella anche noi qui presenti, provenienti da paesi, culture e storie diverse. Ci chiede di non restare neutrali. Di non fuggire dalla complessità del presente, ma di attraversarla alla luce del Bambino. La notte del mondo può essere profonda, ma non è definitiva. La luce di Betlemme non abbaglia: illumina il cammino. Passa di cuore in cuore, attraverso gesti umili, parole riconciliate, scelte quotidiane di pace di uomini e donne che lasciano che il Vangelo prenda carne nella vita.

In questa notte santa, la Chiesa proclama che la speranza non è stata delusa. Dio è entrato nella nostra storia e non se n’è più andato. Ha scelto di abitare il tempo degli uomini perché nessuno si senta escluso, nessuna vita scartata, nessuna notte senza luce.

Che il Bambino nato a Betlemme benedica questa terra e tutti i suoi popoli. Benedica ogni famiglia provata, ogni bambino ferito, ogni uomo e ogni donna stanchi per il peso del presente.

In questa notte santa proclamiamo con gioia: la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. A Dio che si è fatto vicino, che ha scelto la povertà di una mangiatoia per abitare la nostra storia, sia gloria nei secoli.

Santo Natale a tutti voi, alla Terra Santa, alla Chiesa e al mondo intero.
Amen.

+Pierbattista Card. Pizzaballa
Patriarca di Gerusalemme dei Latini




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